Esistono luoghi nei luoghi, fatti di storie che ne custodiscono altre in una sorta di racconto a matrioska; così accade in un paesino sardo di poco più di duemila abitanti, dove esiste un museo che ha fortemente voluto raccogliere le testimonianze di donne che hanno trascorso una vita intera al telaio e di uomini che, da secoli, battono il rame e parlano un particolare gergo, le cui remote radici rappresentano ancora un mistero e sono oggetto di dibattiti tra linguisti e storici.
Il paesino è Isili, il museo è Maratè e le storie di cui si parla sono quelle di tessitrici e di ramai.
Il museo, in cui la scelta delle lettere che ne costituiscono il nome rappresenta un omaggio alle sue componenti principali (Museo dell’Arte del Rame e del Tessuto), è situato all’interno di un antico ex convento. Le sue celle sono allestite per raccogliere, con indiscutibile originalità nello stile cromatico e narrativo, opere, immagini, voci, oggetti artistici e di artigianato che tracciano finemente un momento importante della storia dei suoi abitanti e, in qualche modo, ottengono il risultato di non dispenderne il sapere e di fissare il ricordo di ciò che è stato e che in parte sopravvive ancora.
È presente una sezione etnografica, una artistica e una del rame. La parte definibile come etnografica si attraversa come una sorta di viaggio nella vita delle tessitrici a cui è dedicata e dove, in ogni stanza arredata con i materiali, gli strumenti di lavoro e i prodotti tessili, le donne-tessitrici di Isili si materializzano con la loro personalità attraverso foto, scritte sui muri, video in cui vengono singolarmente intervistate ed esprimono le loro riflessioni diventando così protagoniste attive del racconto della loro storia personale e delle proprie abilità artistiche, oltre che testimonianza diretta di una concezione del mondo femminile in un determinato contesto sociale. Emerge infatti come, aldilà degli splendidi manufatti, delle tecniche, dei colori, si voglia far comprendere al visitatore come queste ragazze avessero fatto propria una certa consapevolezza di indipendenza e intraprendenza grazie alla loro abilità artistica e professionale senza per questo rinunciare al loro ruolo primario nella gestione familiare; in tal senso la tessitura prodotta all’interno di questi piccoli laboratori o più spesso tra le mura domestiche, è stata per le donne di Isili anche un’importante strumento di modernità attraverso cui amplificare il proprio status nella società.
Altro elemento interessante è rappresentato dalla scelta di occupare alcune stanze con l’esposizione di lavori artistici nati dal desiderio di far intersecare passato e futuro, proponendo diversi arazzi in cui la tessitura è il risultato di intrecci tra materiali diversi, come ad esempio stoffe e fili di rame. Le opere, nella cui esecuzione è chiaramente rintracciabile la radice storica sia nei colori che nelle figure, riescono nell’intento di catturare lo sguardo per la loro capacità di essere delicate nella loro finezza e forti al contempo per la loro lucentezza metallica.
Forse, tra tutte, la sezione che, per originalità e spunti di approfondimento, incuriosisce maggiormente il visitatore è quella allestita per testimoniare quanto storicamente la lavorazione del rame sia radicata in questo piccolo paese in quanto, nei secoli passati, gli oggetti in rame avevano un florido mercato soprattutto per l’utilizzo diffuso delle caldaie nella pastorizia per la produzione dei formaggi e degli utensili domestici. Poi, con il progredire delle tecniche di lavorazione, la richiesta di questo tipo di prodotti è calata drasticamente e con essa il numero dei ramai ancora attivi. Ma in passato e per secoli i ramai isilesi erano conosciuti nell’isola sia per la loro perizia nel sagomare con precisione il metallo e creare splendenti oggetti di uso comune sia perché questi artigiani-viaggiatori erano riusciti a conservare qualche centinaio di vocaboli di un proprio specifico gergo in via di estinzione detto “Arbaresca” o “Arromaniscu” o “Sa Romanisca” che, misteriosamente, appare simile al linguaggio utilizzato in altri territori lontani, come per esempio in Sicilia, Calabria, Friuli e alcune zone dell’Albania.
Rispetto alle motivazioni che hanno portato a queste similitudini, le teorie storiche e gli studi linguistici sono molteplici. Alcuni sostengono che la tradizione locale sia stata introdotta da popoli provenienti dall’esterno dell’isola, come i Genovesi, i Pisani, oppure da profughi spagnoli o slavi.
Più in generale esiste una storia millenaria di popoli zingari che con i propri carri e cavalli, partendo forse dall’Asia, sono giunti fino ai paesi mediterranei dove però, come nel caso dei nuragici della Sardegna, esisteva già una conoscenza del rame e un suo largo utilizzo.
Un’interessante teoria linguistica ipotizza una ricostruzione etimologica che ha origini nel sumerico “ru” (costruzione) + “manu” (legno, salice) + “ishu” (distribuzione): “ru-man-ishu”, ovvero “colui che costruisce coi salici e distribuisce” ossia “intrecciatore di salici e distributore” di quei contenitori di uso quotidiano che inizialmente erano costituiti da materiale vegetale e poi sostituiti dal metallo.
Se nei decenni scorsi, a Isili, erano presenti varie famiglie di ramai che dai loro laboratori partivano in giro per tutta la Sardegna carichi delle loro pentole e caldaie decorate a sbalzo, oggi sicuramente resiste in particolare la bottega degli artigiani Pitzalis che con la loro sensibilità continuano a testimoniare, con evoluzioni pregiate di oggetti che furono anche tradizionali, quanto la musica di un martello sul rame possa raccontare che la rotta della bellezza si può tracciare e diffondere grazie alle migrazioni.
Per tutti questi motivi può un museo essere un luogo del cuore e dell’anima? Abbiamo voluto porre la nostra solita domanda agli operatori della Cooperativa Sa Frontissa che gestiscono il Museo e che ci hanno risposto:«Maratè può essere sicuramente considerato un luogo del cuore per la popolazione isilese ma anche per i visitatori perché riesce a raccontare, con il suo allestimento che fa viaggiare tra passato e presente, il proprio territorio dove la pazienza, la dedizione e la creatività rappresentano ancora oggi il cardine delle nostre tradizioni artigiane».