(Maria Corda)

Esistono dei piccoli paesi in cui vivono delle donne che, accompagnate soprattutto dalla passione e dalla tenacia, lottano per conservare l’identità culturale di quel luogo, diventandone custodi.

Una di queste si trova ad Orgosolo, nel centro della Sardegna: è Maria Corda. Lei, seguendo una centenaria tradizione locale e familiare, è oggi verosimilmente l’unica donna in Europa che, seppure in piccolissima scala, riesce ad occuparsi dell’intera filiera della seta: dall’allevamento del baco da seta di razza autoctona alla trasformazione e colorazione del filato che poi utilizza esclusivamente per tessere il particolare copricapo del costume tradizionale orgolese, chiamato su Lionzu.

Questo fazzoletto, che incornicia il volto femminile seguendo precisi canoni di piegatura, è largo 30 cm e lungo 150. È costituito da trame semplici di seta grezza prodotta dal baco di razza peculiare orgolese, ha un colore giallo dato dalla polvere di zafferano locale e ha la caratteristica di essere prodotto e confezionato interamente sul posto con modalità antiche. È un unicum nel nostro Paese.

(Abito tradizionale di Orgosolo – Cristiano Cani, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons)

Maria ci racconta che fino agli anni ’50 ad Orgosolo l’allevamento del baco e la tessitura de su Lionzu erano diffusissimi perché le donne possedevano ordinariamente due abiti tradizionali: uno di uso quotidiano e un altro per il matrimonio e le feste. Nel momento in cui una ragazza programmava la data del matrimonio chiedeva anche in dono il seme bachi (uova del baco da seta) a chi allevava questo insetto, diventando così bachicoltrice per autoprodursi il filo di seta che poi portava alla tessitrice per il confezionamento del copricapo. A completamento del ciclo la ragazza rendeva il nuovo seme bachi a chi glielo aveva donato l’anno precedente.

La nonna, la madre e la zia oggi centenaria di Maria Corda sono state allevatrici e tessitrici. Per dare un’idea di come si è ridotta numericamente la produzione di questo copricapo basti pensare che nel 1936 la nonna di Maria ne confezionava 96 capi mentre oggi le richieste di produzione di questo manufatto si contano sulle dita di una mano.

Capiamo quindi che la spinta propulsiva per la conservazione di questa attività non è identificabile in un ritorno economico, che è sempre e comunque non proporzionale all’enorme dispendio di tempo e cura necessari per il confezionamento, quanto nella ferrea volontà di Maria di conservare una tradizione che fino a qualche decennio fa era presente in tutte le famiglie del suo paese.

Per comprendere a pieno la delicatezza e l’importanza di questa storia ci facciamo raccontare l’intero processo produttivo di quello che, prima ancora di diventare un bene tangibile, è di fatto un affascinante rituale che si svolge tra le mura domestiche.

Il baco da seta arriva ad Orgosolo per mano dei gesuiti che, come in altre parti d’Italia, svilupparono questo allevamento di origine orientale. Le testimonianze scritte iniziano già nel 1700. Sappiamo che si instaurò una sorta di piccolo commercio in cui, solitamente tramite sacerdoti o funzionari locali, i bozzoli prodotti nelle famiglie venivano consegnati ai commercianti dei grandi centri della Sardegna. A differenza degli altri paesi, ad un certo punto le donne di Orgosolo iniziarono, oltre che ad allevare il baco, anche a lavorare il filato e ad utilizzarlo per tessere il copricapo con i telai tradizionali che possedevano in casa, facendolo diventare il vero elemento distintivo e irrinunciabile del loro abito. Questo ha sicuramente inciso nella selezione della specie del lepidottero che, proprio perché circoscritta ad una ristretta area territoriale, ha assunto specifiche caratteristiche di razza.

Oggi Maria ha il suo allevamento in casa, anche perché in alcune fasi l’insetto, incapace di vivere senza il supporto dell’uomo, necessita di attenzioni continue.

(Bozzoli di bachi da seta)

Si parte dai semi bachi (uova piccole come la testa di uno spillo) da cui nasce il baco da seta (su ermeddu, in orgolese). L’insetto nasce ai primi di maggio e mangia solo foglie di gelso. Fino agli anni ‘60 ad Orgosolo in ogni cortile ce n’era un albero; oggi Maria utilizza le foglie dell’albero che possiede in una casa in campagna.

Lo alleva dentro cassettine di legno che impila, stando attenta a conservare la temperatura tra i 20 e i 23 gradi, in un ambiente non ventilato e non esposto alla luce diretta del sole. Per circa due mesi il baco mangia continuamente; a maturità pesa anche 4 grammi e sarà lungo 8 cm, incrementando il suo peso di quattromila volte rispetto a quello della nascita.

Ad un certo punto smette di nutrirsi ed entra nella fase di imbozzolatura. Maria predispone in una cesta dei rametti, generalmente di lavanda, su cui l’insetto si arrampicherà. Poi, il baco perderà dalla bocca, a filo continuo, la bava che a contatto con l’aria diventa seta. Con essa il baco costruirà il bozzolo e si richiuderà su se stesso nel giro di qualche giorno.

Poco dopo la metà di giugno si selezionano i bozzoli da cui far nascere farfalle femmine (bozzolo di forma tonda) e maschi (bozzolo di forma ovale allungata).

Si scelgono solo 15 coppie e si mettono in una scatola di carta. Nascono le farfalle e le femmine deporranno il seme (500 uova per ogni farfalla). Il seme va depositato in un luogo fresco perché si avvia una sorta di letargo che va da fine giugno fino alla primavera successiva.

I restanti bozzoli vengono utilizzati per la produzione della seta. Considerato il fatto che con la fuoriuscita della farfalla il filo del bozzolo si spezza, occorre evitare che il resto dell’allevamento sfarfalli. Pertanto, si deve bloccare il ciclo vitale esponendo i bozzoli al caldo o al freddo. Anticamente le donne usavano farlo riponendoli nel forno a legna dopo aver sfornato il pane.

Si procede poi con la trattura, ovvero l’estrazione del filo dal bozzolo. Per avere il filo necessario per l’ordito si immergono i bozzoli in acqua calda e, con una sorta di scopetta di frasche, con un gesto delicato si inizia a dipanarli finché non si trova il primo filo di testa.

Il filo viene avvolto in matassine di 20 o 30 grammi che si lavano in acqua corrente, si mettono sull’arcolaio e si crea l’ordito che, nel caso de su Lionzu, rimane del colore naturale. La preparazione del filato è la cosa più lunga; per fare l’ordito ci vuole almeno un mese. L’orditura è un’operazione di incroci sapienti che richiede perizia, precisione e delicatezza. Il restante filo diventa trama e viene colorato di giallo attraverso l’uso dello zafferano. Con 10.000 bozzoli si producono solo 800 gr di seta.

(Museo del baco da seta – Orgosolo (NU)

Maria Corda è la testimone attiva di tutto questo mondo in via d’estinzione.

Purtroppo, le complicazioni legate agli aspetti burocratici e il mancato ritorno economico possono facilmente scoraggiare chiunque oggi voglia dedicarsi alla conservazione di piccole-grandi tradizioni identitarie.

La verità è che il suo laboratorio dovrebbe essere considerato un’impresa anche solo per il fatto che consente di raccontare e di tenere in vita un pezzo importantissimo del patrimonio culturale di un luogo e di un popolo. La memoria è un bene immateriale deperibile e troppo spesso trascurato.

Ci congediamo proponendo a Maria le nostre consuete domande finali e le chiediamo quali sono il suo luogo del cuore e quello dell’anima: “Il mio luogo del cuore è Locoe, una bella località di campagna che dista qualche chilometro dal centro abitato di Orgosolo e che per noi, da bambini, era il luogo di vacanza. Eravamo un gruppetto di cugini dai 5 ai 10 anni e abitavamo in case senza acqua né luce, ma lì eravamo liberi e felici di vagare per tutto il mese di settembre, almeno fino alla vendemmia. Passavamo le giornate a mangiare pesche e fichi, alla ricerca di un leggendario telaio d’oro che mia madre diceva essere nascosto dentro qualche grotta.

Il mio luogo dell’anima, invece, è questa casa: c’è molto di mio ed è esattamente come la desideravo; c’è il laboratorio e la vita familiare. È un contenitore ma soprattutto è un contenuto pieno di significato.”