8cento è un’associazione di Bologna fondata nel 2008 che, attraverso corsi di ballo, riproduzione dei costumi e partecipazioni ad eventi, concorre alla promozione e alla divulgazione delle danze e delle rievocazioni storiche di epoca barocca, rinascimentale e del XIX secolo.

Incontriamo la sua direttrice artistica Alessia Branchi che, dopo gli studi di danza classica alla Collin di Firenze, la laurea al Dams di Bologna, il diploma presso la Royal Scottish Country Dance di Edimburgo, decide di dedicarsi alle danze d’epoca riconoscendone il potenziale come veicolo per l’educazione alla storia. Il successivo incontro e poi la collaborazione oramai più che ventennale con il Museo Civico del Risorgimento di Bologna ha fatto sì che l’associazione e le sue rievocazioni storiche oggi contribuiscano, in qualche modo, a rendere il documento storico più accessibile restituendolo alle piazze.

Si può ottenere questo risultato quando lo studio continuo degli aspetti storici, oltre che delle coreografie, culmina con la messa in scena dei vari elementi e nella realizzazione di una performance corale fatta di danza ma anche di affreschi pittorici viventi che creano suggestioni o sono il corredo comprimario di una storia. Oggi l’associazione partecipa a diversi eventi tendenzialmente nell’area bolognese, come nella recente occasione del carnevale a cui l’associazione ha partecipato con il Corteo Storico e con il Gran Ballo Ottocento. Ma ci sono anche collaborazioni con altre città come Roma, Pescara, Torino e Milano. Non mancano le rievocazioni in contesti particolari e innovativi come al cimitero Monumentale della Certosa di Bologna, che poi hanno avuto un seguito in altri contesti simili come il cimitero del Verano di Roma e il cimitero Monumentale di Mantova.

Ma come possiamo definire il gruppo che, insieme ai professionisti, partecipa attivamente alle rappresentazioni storiche? Sono danzatori, interpreti appassionati, estimatori romanticamente nostalgici? Alessia ritiene che la definizione più attinente sia “rievocatori della danza storica”. Aggiunge anche che esiste una differenza tra la concezione del ballo diffusa ai giorni nostri, principalmente associata all’arte o al divertimento, e il ballo d’epoca, quando le feste danzanti si organizzavano per motivi anche politici e sociali. Quindi essere rievocatore presuppone che la scelta di indossare il costume storico nasca anche dalla conoscenza del contesto e degli usi di un tempo, dalla consapevolezza che parte dalla filologia.

È facile intuire come le letture, la conoscenza storica e anche la letteratura romantica possano, in un adulto maturo, esercitare il fascino di una certa atmosfera e quindi anche far scaturire il desiderio di riviverla, rappresentarla e quindi in qualche modo contribuire attivamente a conservarne la memoria. Ma quali aspetti invece possono intrigare di più i giovani? “Per le ragazze sicuramente è il fascino dell’abito. Piacersi con indosso un nuovo ed insolito vestito è in realtà un sentimento molto attuale. L’estetica e il look sono la molla che porta al primo passo verso l’associazione. Anche i maschi, dopo un primo imbarazzo, finiscono spesso per apprezzare il loro aspetto in costume”.

In generale la platea dei partecipanti, dei ballerini e degli appassionati è variegata e c’è da chiedersi cosa spinga le persone, in un’epoca di grandi spazi e velocità come questa, ad avvicinarsi a questo mondo.

La testimonianza rilevata da 8cento è che, dopo la pandemia, c’è stato un avvicinamento all’associazione da parte dei giovani. “La spiegazione possibile è che sia comparso un nuovo forte desiderio di ritrovarsi in maniera comunitaria, di ristabilire un contatto anche fisico ed emotivo purché attraverso una struttura e una guida che faccia sentire protetti e allo stesso tempo liberi di muoversi, perché ci si relaziona attraverso un percorso che prevede un codice di regole condiviso. Per i più giovani rimane marcata la difficoltà ad esibirsi in pubblico. Basti pensare che in occasione di una delle ultime rievocazioni, su circa 60 ragazzi che avevano partecipato ai corsi, solo 20 si sono poi esibiti in piazza e questo nonostante l’esibizione fosse necessaria per la maturazione dei crediti scolastici”.

In un gioco di estrema e arbitraria semplificazione potremmo tentare di sintetizzare ogni genere di ballo con un aggettivo o con un sostantivo e, associare per esempio hip hop alla grinta, la danza classica all’armonia, il tango alla passione. Sulla scia di questo chiediamo ad Alessia cosa potremmo associare alla quadriglia o al valzer. “La quadriglia è socialità, perché la scelta dei privilegiati per la disposizione a quadrato rimarcava comunque le fasce di popolazione e di classe. Il valzer è rivoluzione, sia perché si diffuse soprattutto durante la Rivoluzione francese sia perché per la prima volta una coppia, in posizione abbracciata, ballava davanti a un pubblico”.

La rappresentazione di un ballo d’epoca, volendo anche essere un’efficace fotografia di un momento storico in cui usi e costumi erano in gran parte protocollati, richiede molta compostezza ed eleganza. A questo proposito chiediamo ad Alessia se le viene in mente un episodio in cui un incidente o una gaffe ha interrotto questo incantesimo provocandole un sussulto ma anche un sorriso. Non ricorda cose eclatanti, fortunatamente, ma confessa che le risultano sempre stridenti tutte le situazioni in cui, dopo la danza o la scena storica, i rievocatori dismettono distrattamente l’etichetta dimenticandosi che in realtà non sono mai fuoriscena perché il palco è la piazza, la strada, il monumento all’aperto. Anche un gesto ordinario, come per esempio l’esigenza di soffiarsi il naso, dovrebbe avvenire in maniera non distante da ciò che avrebbe previsto il buon uso e costume del tempo.

Che sensazione ci si auspica rimanga nello spettatore che assiste ad una rievocazione? Il desiderio di 8cento è quello che, a prescindere dal livello di conoscenza storica con cui ognuno di noi arriva in piazza, le persone vadano via con una maggiore consapevolezza del documento storico che si è voluto testimoniare e che possibilmente abbiano anche voglia di approfondire. Che comprendano anche il valore di conservare viva la memoria di ciò che è stata la propria città un tempo.

Finiamo la nostra chiacchierata con delle riflessioni più personali. Le racconto che Paesìa è un sito che cerca di raccogliere storie, pensieri e luoghi in qualche modo poeticamente poco diffusi e quindi “più esposti geneticamente al rischio estinzione”. Questo genere di raccolta porta con sé il privilegio di incontrare persone che in qualche modo decidono di condividere con degli estranei una sezione importante del proprio modo di vedere la vita; per questo, spesso, chiudiamo i nostri dialoghi con le stesse due domande. Le facciamo anche ad Alessia. Qual è il tuo luogo del cuore, il luogo fisico a cui ti capita di ripensare provando quell’indefinito senso di calore? E qual è invece il tuo luogo dell’anima, quella situazione nella quale ognuno di noi può trovare rifugio?

Come luogo del cuore non posso non pensare a Certaldo, in Toscana: è il borgo di origine in cui ho vissuto fino ai 19 anni e a cui mi capita di ripensare percependo questa sensazione; mentre Il mio luogo dell’anima è identificabile con una sensazione e allo stesso tempo con uno stimolo vitale: quello di potere, attraverso il mio lavoro, segnare un percorso anche per il futuro e lasciare una traccia emotiva a disposizione degli altri”.