“Mare, mare, mare

sai che ognuno c’ha il suo mare dentro al cuore, sì

E che ogni tanto gli fa sentire l’onda”

cantava Luca Carboni in una vecchia canzone del 1992.

Vero, ognuno di noi alla parola mare associa immagini e ricordi personali.

Il mio mare è la spiaggia di Punta Aderci, nell’omonima riserva naturale di Vasto, in Abruzzo.

Una lingua di spiaggia incastonata fra rocce di tufo, che la proteggono e preservano per noi, da tempo immemorabile.

Una spiaggia a cui si arriva dopo aver percorso un sentiero di sassi bianchissimi, abbaglianti,  alla luce del sole e circondato da distese di girasoli splendenti.

Una spiaggia di sassi colorati e acqua verde smeraldo, trasparente e placida nelle giornate di bonaccia, ma con onde, i “cavalloni”, come li chiamiamo noi abruzzesi in gergo, altissimi e inquietanti nelle giornate di vento.

Ma questo è il mio mare da adulta, da fine anni ’90 quando mi trasferii a Vasto.

Il mare di prima è quello di Ortona, dove sono nata e cresciuta, quello della piccola spiaggia detta Lo scalo, che adesso forse non esiste neanche più…

Una spiaggia fatta anch’essa di sassi colorati, circondata da massi enormi, con un mare meravigliosamente blu.

Ci andavamo percorrendo a piedi un sentiero che si faceva via via più stretto e sabbioso, man mano che ci avvicinavamo al mare, con mia madre e mio fratello più piccolo.

Insieme a noi c’era la nostra vicina di casa con i suoi tre figli, più o meno della nostra stessa età.

Avevamo tutti noi bambini fra i 10 e i 5 anni.

Quando arrivavamo nel primo pomeriggio non c’era mai nessuno, il mare era tutto nostro.

Io e Carmela, la figlia più grande della nostra vicina, ci infilavamo i salvagenti e ci buttavamo immediatamente in acqua. Da incoscienti, non sapendo affatto nuotare, ci allontanavamo dalla riva fino a mettere fra noi e la terra ferma uno spazio che ci pareva infinito.

Restavamo in acqua per ore e ore, sotto il sole, fino a quando non venivamo richiamate dalle urla delle nostre mamme che ci intimavano di tornare indietro. Avevamo le dita delle mani e dei piedi raggrinzite dal troppo stare in acqua, ma tutto ci sembrava limpido…

Poi passavamo il resto del tempo a raccogliere sassi colorati, ce n’erano alcuni che sembravano smeraldi altri ambre preziose. Per anni ne ho tenuti alcuni in un cassetto, per guardarli ogni tanto e ricordare quel tempo perduto in cui ero davvero felice.