Negli anni ’80 lo stadio di crescita di un bambino non lo decretava il pediatra, bensì il pallone usato per giocare a calcio.
I primi approcci avvenivano con il Super Tele, dalle tinte elettriche. Perfetto per i muscoli da latte, imprevedibile con le sue traiettorie anarchiche e amiche del vento.
Il passaggio al Super Santos garantiva equilibrio tra leggerezza e controllo. D’estate lo si lasciava al sole affinché si gonfiasse in maggior misura. Le sue più acerrime nemiche erano le spine delle rose dei cortili delle nostre case.
Ad un certo punto arrivava il momento del Tango. Il calcio diventava più pesante, quasi a ricordarti che stavi crescendo e che era necessario avere gambe più forti. Era un pallone obbediente. Il timore più grande? Un adulto che minacciava di bucartelo perché stavi giocando in un luogo poco consono, magari alla controra.
Infine, l’ambìto traguardo: il pallone di cuoio. Ti rammentava che per i colpi di testa ci vuole la giusta tempra, la perfetta alleanza tra la fronte coriacea e una adeguata tensione dei muscoli del collo. Nonostante gli esagoni bianchi e i pentagoni neri scorticati dall’asfalto della strada, ti faceva sentire un calciatore di livello; era quasi sempre una pura e tenera illusione. In realtà, bussavi alla porta dell’adolescenza. Cominciavi ad immaginare il futuro, sognando di diventarne protagonista.