Edoardo Presti vive a Cento, in provincia di Ferrara. È biologo ed educatore ambientale. Ci racconta le sue due esperienze fatte in Sudamerica: la prima in Perù, dove ha svolto il servizio civile internazionale, e la seconda in Ecuador, dove ha realizzato progetti di educazione ambientale.

Edoardo Presti

Ciao Edoardo. Raccontaci le tue esperienze sudamericane.

Da novembre del 2017 a dicembre 2018 sono stato a Jangas, un paesino sulle Ande del Perù situato a circa 2.800 metri di altitudine e a 8 ore di autobus a nord di Lima. Qui ho svolto il servizio civile internazionale con un’organizzazione non governativa con sede a Ferrara. Operavamo all’interno del progetto Mato Grosso, nato in Brasile anni fa e dedicato all’orientamento al lavoro dei giovani che, terminato il percorso di studi obbligatorio, non hanno la possibilità di proseguire con la formazione scolastica.

Poi, da luglio 2019 a marzo del 2020 sono stato in Ecuador. Più precisamente a Tena, conosciuta per la Wayusa y canela, tipica bevanda energizzante. Mi sono occupato, in supporto a Caritas Napo, della realizzazione di progetti di educazione ambientale, a favore di comunità e scuole, improntati soprattutto al riciclo e alla condivisione di strategie che potessero contenere la quantità di rifiuti prodotti. Anche in questi Paesi è in costante crescita il consumo di prodotti usa e getta, di imballaggi e buste di plastica. Ad esempio, abbiamo realizzato dei laboratori di cucito per trasformare dei vecchi capi di abbigliamento in buste per trasportare cibo.

Abbiamo attivato nelle scuole un progetto di raccolta delle bottiglie di plastica e degli involucri delle merendine industriali. Questi ultimi venivano pressati all’interno delle bottiglie di plastica e con queste abbiamo realizzato delle panchine che sono state posizionate all’interno degli stessi edifici scolastici. Abbiamo anche organizzato pulizie dei fiumi con il kayak.

 

Com’è la vita sopra i 2500 metri di altitudine?

Soprattutto nel primo periodo ho avvertito gli effetti della minore concentrazione di ossigeno nell’aria, che determinava una minor resistenza agli sforzi prolungati e causava frequenti capogiri. A causa di questo fattore, sono state molto faticose anche le prime partite di calcio che ho disputato assieme ai ragazzi del posto.

Un altro aspetto che mi è rimasto impresso è l’utilizzo, da parte degli abitanti del luogo, di pantaloni lunghi e maglie a maniche lunghe anche in presenza di temperature molto alte e l’utilizzo di creme solari necessarie a proteggersi dai raggi UV, così aggressivi a quelle altitudini.

Huascaran innevato

Che cosa hai ricevuto in termini di insegnamenti e di esperienze?

Il servizio civile mi ha fatto capire che per mettersi realmente al servizio delle persone e delle realtà che si incontrano bisogna andare oltre i titoli di studio e le competenze professionali. Bisogna aggiungere entusiasmo, passione e rispetto.

All’inizio ho dovuto osservare e capire il contesto nel quale agivo per comprendere con efficacia i reali bisogni della gente locale.

Da loro ho imparato anche che è fondamentale valorizzare le proprie origini, avere sempre presente da dove veniamo e chi siamo. Che è importante rispettare la terra e i suoi tempi: accettare quello che è in grado di darci e che non bisogna forzarla puntando sul “doping” chimico.

Ho avuto il privilegio di vedere come vivono sia i contadini sopra i 3.000 metri di altitudine sia gli abitanti della foresta: mi ha colpito la loro profonda conoscenza della natura e dei suoi meccanismi nonché la consapevolezza di quanto sia deleterio il fatto che gli esseri umani vivono a ritmi troppo serrati rispetto a quanto il nostro pianeta è in grado di sostenere.

Preparazione dei mattoni

In questi luoghi hai sperimentato una cadenza diversa dello scorrere del tempo? Quanto questo può facilitare l’ascolto di sé stessi e degli altri? 

La serenità e la tranquillità che ho trovato a quelle altitudini non l’avevo mai sperimentata prima nella mia vita. Né l’ho ritrovata da quando sono andato via da quei luoghi. Sono nato e cresciuto in pianura, sono stato sempre in vacanza al mare. Ho scoperto una nuova dimensione: la montagna, con i suoi ritmi e i suoi silenzi, e quelle desolazioni di territori naturali, senza pali della luce, case, infrastrutture, lascia tanto tempo per pensare a sé stessi, a chi si è e a cosa realmente si vuole. Ti consente di fare attendibili bilanci della tua vita, di provare a capire cosa potrebbe farla andare meglio. Si è molto meno distratti da quello che succede intorno, si ha molto più tempo per ascoltarsi. Non ho mai letto così tanto come durante la mia permanenza in questi luoghi. La realtà che mi circondava la avvertivo molto meno pressante rispetto a quella che vivo di solito.

 

Quali sono i prodotti tipici che hanno colpito di più il tuo gusto e quali ritieni siano più caratteristici?

In Perù la patata. Ce ne sono tantissime varietà, specifiche per ogni stagione, per ogni altitudine e per ogni tipologia di terreno. In Ecuador caffè, cacao, banane e frutti tropicali (molto buoni i succhi di frutti tropicali mescolati con latte, che si chiamano Batidos). Le banane e i frutti tropicali hanno un sapore eccezionale, molto più intenso rispetto a quelli che arrivano da noi in Europa dopo aver affrontato una traversata oceanica.

Uno dei piatti che mi è piaciuto di più in Perù sono state le Palta, a base di avocado ripieno.

Tra quelli più caratteristici mi ha stupito il Pisco Sour, un cocktail alcolico ottenuto mescolando il Pisco, che è un’acquavite, con lime, zucchero, albume d’uovo e cannella.

In Ecuador, tra le specialità più peculiari ci metterei i platani, che vengono cucinati fritti, impanati, stufati e in brodo; e poi la Chicha, bevanda ottenuta dalla fermentazione alcolica della Yuca.

 

C’è qualche episodio bizzarro legato al cibo che ci vuoi raccontare? 

Sì, ce n’è uno in particolare accaduto in Ecuador. Un giorno, mentre stavamo andando a lavorare, abbiamo incontrato dei vicini che ci hanno detto di aver catturato un coccodrillo e ci hanno proposto di comprare un po’ di quella carne. La famiglia che ci ospitava ne comprò una piccola parte: abbiamo mangiato per la prima volta la carne di coccodrillo, zuppa e stufato, per la precisione. Lo ricordo come un episodio piuttosto singolare.

Vinicunca – Montagna Arcobaleno

Ande, foreste tropicali, Rio delle Amazzoni, isole Galapagos, Machu Picchu: quali sono i paesaggi e i luoghi che più ti sono rimasti nel cuore?

In Perù sicuramente il Huascaran: potevo ammirare dalla finestra della mia camera quest’imponente montagna facente parte della Cordillera Blanca delle Ande, sempre innevata e che con i suoi 6.768 metri rappresenta la vetta più alta del territorio peruviano.
Poi, ovviamente, Machu Picchu e Vinicunca, la montagna arcobaleno.
In Ecuador mi sono rimasti impressi i laghi di origine vulcanica.

Lago di origine vulcanica in Ecuador

Che sensazioni hai avuto rispetto a come le popolazioni locali vedono l’Italia e gli italiani?

Ci apprezzano molto per la nostra capacità di stare insieme, per la nostra ilarità, per la nostra voglia di scherzare. Ci apprezzano anche, e molto, per la nostra cucina e per la capacità di comunicare anche attraverso il cibo e il vino. Vedono gli italiani come persone poliedriche, con uno spiccato senso dell’umorismo. Di rito è la domanda sul calcio: “Per quale squadra tifi?”

 

Qual è il ricordo più emozionante che porti ancora dentro di te?

C’è un’esperienza, vissuta in Perù, che ricordo sempre con gioia. Il prete della parrocchia in cui ero mi ha chiesto di seguire un ragazzo ipovedente, orfano di padre, nella formazione del catechismo. Si trattava di un campo estivo di due settimane al termine dell’anno scolastico all’interno del quale, per tutto il giorno, si faceva catechismo e si praticavano giochi. Questo bambino non poteva seguire le lezioni e giocare come gli altri. Io sono diventato, di fatto, il suo educatore di sostegno: l’ho aiutato a portare a compimento il percorso e ho cercato di supportarlo nell’integrazione con gli altri bambini. Al termine di questo cammino la madre del bambino mi ha chiesto di essere il suo padrino di cresima. Io ho accettato con grande emozione.

 

Quanto e in che termini queste esperienze ti hanno cambiato? 

Ho focalizzato il fatto che, spesso, nella nostra cultura siamo troppo legati al ruolo che svolgiamo, alla professione che esercitiamo, al grado di realizzazione. Ho capito che dobbiamo essere sintonizzati su quello che valiamo come persone. In Perù ed Ecuador ho fatto un’esperienza di lavoro, ma ancor di più ho fatto un’esperienza di vita.

Ho riscoperto alcuni momenti caratteristici della vita dei paesi: la bellezza delle feste, delle cerimonie, più in generale dei momenti di aggregazione. Credo che noi non siamo più in grado di vivere queste cose con la stessa intensità. Mi ha colpito l’orgoglio di questi popoli per le proprie tradizioni; mi hanno folgorato i costumi, i carri, il cibo e la gente che mangia insieme in strada. Penso che solo in alcuni posti del Sud Italia certi momenti si vivano con simile passione, direi quasi con una certa sacralità. Per me è stata un’esperienza di notevole impatto: incontravo una lingua diversa, un cibo per me nuovo, dei profumi e dei colori mai sentiti e visti prima. É stato come fare un tuffo in una realtà che, fino a quel momento, avevo sentito raccontare e visto solo nei documentari. Posso dire di aver vissuto in Ecuador e Perù, non sono stati luoghi che ho soltanto visitato. L’unico rimpianto che mi porto dietro è quello di non essere riuscito a visitare le Galapagos; da biologo il rammarico è ancor più grande. Cercherò di recuperare appena possibile.